La misura in cui l'aquila è un pollo
“Il pensare diventa libero nella misura in cui diventa un volere, nella misura in cui io faccio rifluire dentro al pensare l’impulso degli arti, l’impulso della volontà, quindi della libertà” (Pietro Archiati, “I dodici sensi in relazione alla pedagogia”, Parte 1ª, Roma 1994). Quindi io sarei libero nella misura in cui mi do’ una mossa muovendo i miei arti?
“Lo Spirito diventa Santo, diventa puro, nella misura in cui diventa vivente, attivo” (Pietro Archiati, "Libertà e cristianesimo. Fondamenti cristologici dell’esperienza della libertà", Bologna 1994). Quindi nella misura in cui il mio spirito si attiva sparandoti, io sarei santo?
ERGO: Nella misura in cui l’aquila è un pollo, il pollo non è un’aquila (Nereo Villa).
Oggi è notorio che per Fichte, che per essere scientifico era solito dire tre parole e quattro “misure in cui”, il dovere morale potesse attuarsi “dall’io finito solo insieme ad altri io finiti. Ammessa l’esistenza di altri esseri intelligenti, io sono OBBLIGATO a riconoscere ad essi lo stesso scopo della mia esistenza, cioè la libertà. In tal modo ogni io finito risulta COSTRETTO non solo a porre dei LIMITI alla sua libertà ma anche ad agire in modo tale che l’umanità nel suo complesso risulti sempre più libera” (Cfr. “Fichte e l’idealismo” in trucheck.it).
Chi fa sue queste idee su obblighi, costrizioni, limitazioni, divieti, ecc., e le propone come filosofia della libertà, individualismo etico, o triarticolazione sociale, è un mentitore che dimostra di non avere capito nulla di queste cose.
Basterebbe leggere la seconda appendice de “La filosofia della libertà” di R. Steiner per accorgersene: «[...] le nostre dottrine scientifiche debbono ormai evitare di presentarsi in tal veste, da rivelare la pretesa ad una accettazione incondizionatamente obbligatoria. Nessuno di noi potrebbe più dare a uno scritto scientifico un titolo come quello che gli diede una volta Fichte: “Luminosa relazione al gran pubblico sulla vera essenza della nuovissima filosofia. Tentativo di obbligare il lettore a comprendere”. Oggi NESSUNO DEVE ESSERE OBBLIGATO A COMPRENDERE. Se un intimo particolare impulso non spinge l’individuo verso un certo ordine d’idee, nessuna adesione viene a lui richiesta. Persino all’uomo ancora immaturo, al bambino, non vogliamo più al giorno d’oggi inculcare delle cognizioni: cerchiamo invece di sviluppare le sue facoltà, così che non abbia ad essere obbligato a comprendere, ma voglia comprendere. Non crediate ch’io mi illuda, quando parlo di questa caratteristica dell’epoca mia, e ch’io non sappia quanto convenzionalismo, privo di ogni individualità, viva tutt’ora e si estenda. Ma so altrettanto bene che molti dei miei contemporanei cercano d’indirizzare la loro vita verso la meta di cui ho parlato. Ad essi io dedico questo libro: il quale non vuol rappresentare 1’“unica via possibile” alla verità, ma vuol semplicemente descrivere il cammino percorso da uno cui la verità sta a cuore. [...] Questo libro non concepisce quindi il rapporto fra scienza e vita nel senso che l’uomo debba piegarsi all’idea e mettere ai suoi servizi le proprie forze, ma nel senso che egli debba impadronirsi del mondo delle idee per adoprarlo per i propri scopi umani, i quali vanno al di là di quelli puramente scientifici. DOBBIAMO SAPERCI COLLOCARE DI FRONTE ALL’IDEA CON LA NOSTRA ESPERIENZA, SE NO, SI CADE SOTTO LA SUA TIRANNIA» (R. Steiner, 2ª Appendice de “La filosofia della libertà”; il carattere maiuscolo è mio - ndc).
Che significa la mia esperienza di fronte all’idea?
Proviamo a farla - almeno una volta nella vita - questa benedetta esperienza o esperimento. Prendiamo per esempio l’idea scritta sulle vecchie banconote in questi termini: “PAGABILE A VISTA AL PORTATORE”. Oggi nell’euro questa scritta è sparita, quindi sappiamo già che un’esperienza reale di questa idea non la possiamo più fare. Di conseguenza possiamo fare tale esperienza in modo immaginativo mediante il pensare. Immaginiamoci al tempo della lira e di andare allo sportello bancario per sperimentare quell’idea, cioè quel diritto di riscuotere presso la banca una rispettiva determinata quantità di oro, PORTANDO A VISTA quel pezzo di carta, cioè quella “nota di banco” o “banconota”. A questo punto ognuno può immaginare a suo modo la reazione del bancario dietro lo sportello. Chi crede che quella fosse un’idea di diritto eseguibile dalla banca per legge, dovrebbe credere giusto anche pagare le imposte, le tasse, i tributi, imposti anch’essi per legge. Chi invece crede che il bancario l’avesse preso per matto davanti alla sua richiesta d’oro, dovrebbe sentirsi un po’ matto anche nel sentirsi un onesto cittadino che paga le tasse, no? Invece non è così. Poiché non sperimentiamo le idee, paghiamo imposte con banconote senza minimamente renderci conto di cosa sia una banconota. Ecco dunque spiegato perché dovremmo SAPERCI COLLOCARE DI FRONTE ALL’IDEA CON LA NOSTRA ESPERIENZA, SE NO, SI CADE SOTTO LA SUA TIRANNIA.
La tirannia del pagare imposte per una data PERCENTUALE di reddito non diventa meno tirannica col divieto che metterebbe Pietro Archiati in sostituzione di quelle imposte. Sperimentiamolo. Archiati dice che per legittimare il diritto occorre trasformare formalmente le imposte, cioè le imposizioni che limitano la libertà, in proibizioni che spalancherebbero la libertà per tutti senza imporre alcun dovere, alcun dover essere. Ma è una cretinata questa. Altro che filosofia della libertà!
Col divieto di percepire più della differenza fra quel mio reddito e quella PERCENTUALE io diventerei solo un cretino convinto, o un ipocrita leguleio convinto
O caproni dell’antroposofia e della “libera conoscenza” di dire minchiate, volete o no capire che questa è solo un’ipocrisia fichtiana, o di chi ha l’abitudine di ragionare per assoluti o nella misura di qualcosa? Questo vostro stile di pensiero è lo stile che conduce allo statalismo assoluto proprio in un momento storico (quello odierno) in cui lo statalismo manifesta se stesso come insano, anzi putrescente, in quanto accentratore di competenze (come l’economia e la cultura) che non ha, né non può avere perché NON sono sue. Lo Stato di diritto dovrebbe avere la competenza del diritto, non dell’economia, né della cultura extra-giurisprudenziale!
Non si può davvero dire che chi ragiona come Pietro Archiati, ragioni liberamente. Allo stesso modo, chi sente come propria la “missione del dotto” (il “supremo” fine del dotto) e pretende liberare il suo prossimo mediante leggi proibitive, non può fare altro che censurare qualsiasi convinzione diversa dalla sua. Insomma è un ideologo del comunismo totalitario, mascherato da antroposofia! Perciò è un uomo pericolosissimo, un vero cameriere di arimane, per intenderci antroposoficamente!
Oggi i comunisti si chiedono: “Non è forse fichtianesimo puro la concezione comunista di “Storia e coscienza di classe” di Lukàcs e dei “Quaderni del Carcere” di Gramsci?” (Costanzo Preve, “Marx lettore di Hegel e... Hegel lettore di Marx”). Costoro almeno sono comunisti, ma onesti con se stessi e, non avendo bisogno di interpolazioni di contenuti di alcun autore con quelli di Fichte, se ne accorgono. Semplicemente. Concedendosi il lusso di non essere dei superficiali.
Però ci sono ancora persone talmente superficiali da attribuire alle predicazioni di forsennati ideologi del comunismo assoluto antroposoficamente mascherato, l'anticonformismo e la spregiudicatezza (un seguace di Archiati mi ha davvero scritto così: le sue opere sono anticonformiste e spregiudicate!). In verità in quello che dice Archiati non vi è né anticonformismo né spregiudicatezza, bensì mero formalismo giuridico ancorato alla vetusta “dittatura del proletariato”, e all’ancora più vetusto assolutismo dell'idealismo tedesco, mascherati da filosofia della libertà. Non c’è limite al peggio!
Anziché studiare Steiner, questi superficiali imbamboliti, seguaci di altri superficiali imbamboliti, trascrivono le parole dei seminari di Archiati e le studiano, nonostante in lui sia percepibile un modalità di esposizione da esaltato e/o da mortificatore dei rarissimi ascoltatori ancora dotati di un rimasuglio di giudizio critico nei confronti di costui, assurdo predicatore di professione, e di professione arimanica.