Sul concetto di percezione nel testo di Steiner sulla libertà

07.10.2013 09:11

 

Il contenuto del concetto di PERCEZIONE spiegato da Steiner nella sua “Scienza della libertà” (1ª parte de “La filosofia della libertà”) consiste nel mero oggetto IMMEDIATO di sensazione. Che significa? Significa che se è “immediato” non è “mediato”, e cioè che la mediazione concettuale non è ancora avvenuta nella determinazione di quell’oggetto.

Se io affermo ciò che afferma Pietro Archiati sul concetto di percezione, dicendo che la percezione è un frammento di materialità, sono già in errore, dato che non mi accorgo che la proposizione “la percezione è un frammento di materialità” può essere dichiarata solo dopo averla pensata, cioè MEDIATA col pensare.

Nulla si può dire di determinato sulla percezione cioè su quel dato oggetto o cosa perché quel dato oggetto o cosa è quanto io percepisco senza che il mio pensare abbia incominciato a MEDIARE, a RIFLETTERE, ad attivarsi insomma.

Quindi dire che “la percezione è un frammento di materialità”, o dire qualsiasi altra cosa, su qualla data cosa e/o su quel dato oggetto percepibili comporta già MEDIAZIONE del pensare.

Pertanto coloro che, come Pietro Archiati, dichiarano che la percezione sia questo o quello, pongono già un giudizio sulla percezione, cioè un concetto sull’oggetto percepibile. Quindi pre-giudicano ciò che il pensare deve ancora determinare o mediare come quel dato oggetto o quella tal cosa. In altre parole confondono il sentire col pensare: mettono in moto un sentire spurio riguardo a quell’oggetto, per cui si ha già un oggetto di sensazione MEDIATO, che è il contrario dell’oggetto IMMEDIATO inteso da Steiner a proposito della percezione. 

Il nostro corpo è anche un insieme di capacità percettive e di organi percettivi. Steiner non intendeva però la percezione fisiologicamente. Per Steiner la percezione è la cosa percepibile, l’oggetto di percezione. Faccio un esempio: se nel buio tocco qualcosa che non riconosco, so che lì c’è un oggetto ma non so ancora che oggetto è, dunque non so ancora che cosa sia quella percezione. Cos’ho fatto? Ho fatto l’esperienza della PERCEZIONE IMMEDIATA. Ovviamente ogni percezione mi stimola al riconoscimento di essa. Il riconoscimento è però possibile solo attraverso la MEDIAZIONE del pensare concettuale. La percezione però non è quel riconoscimento concettuale. Il riconoscimento attiene al pensare, al concettualizzare. Percezione e concetto sono due elementi equilibrati e distinti che insieme danno la realtà. La realtà è fatta di essi, non di mere percezioni come vorrebbero i materialisti, né di meri concetti o di mere idee come vorrebbero gli idealisti, gli spiritualisti. Tutto l’idealismo tedesco vive invece in questo disequilibrio di preminenza assoluta del concetto o dell'idea rispetto alla percezione.

Ma questo squilibrio è mentale! Al di là dell’equilibrio fra percezione e concetto c’è infatti la pazzia, la stessa pazzia che Goethe sembra imputare a Fichte, per esempio.

Si può rilevare quanto affermo dai commenti di Giovanni Vittorio Amoretti in precisi punti del “Faust” di Goethe. Il primo punto riguarda il versetto del personaggio “Idealista”: “In verità se io sono tutto questo, allora oggi sono pazzo”. Il commento dice: “[…] contro J. G. Fichte […]: l’io crea a sé il non io ed è con esso identico” (Goethe, “Faust”, Ed. Utet, Torino, 1975, pag. 216). Il secondo punto riguarda il personaggio “Baccalaureus”: “[…] Se io non voglio non è permesso al diavolo di esistere”. Il commento dice: “Se io non lo penso il diavolo non esiste. Più che un concetto fichtiano per il quale il mondo esisteva in quanto l’io lo pensava, ci troviamo qui di fronte alle derivazioni da questo concetto quali si riscontrano negli scolari del Fichte […]” (ibid. pp. 308-309).

È ovvio che chi scotomizza la percezione mettendo invece in luce il mero concetto o la mera idea vive l’abbaglio di quella “luce” e perviene all’alienazione essenziale di quel vertiginoso disequilibrio per cui si crede realtà solo il mondo assolutamente concettuale. Costui vive in meri concetti, ed è assolutamente convinto che se uno non pensa a una cosa, cioè ad una percezione, questa non esista. Ma chi si comporta così non è forse un cretino assoluto? La risposta è: "Sì, lo è" perché se stando al volante ti trovi di fronte un albero e non sterzi perché non vuoi pensarci, vai a sbatterci contro, no?

Sull’assolutizzazione fichtiana, così Amoretti commenta la parola “assoluto” detta da “Mefistofele” nel poema di Goethe: “Assoluto. Allusione alla filosofia di Fichte e forse, in senso lato, anche a quella dello Schelling e dello Hegel” (ibid. pa. 306). Insomma perfino Mefistofele qui “consiglia […] di non sdegnare troppo la realtà, l’esperienza […] per andare verso un astrattismo assoluto […]” (ibid.). E sappiamo tutti chi è Mefistofele per Goethe...

In questa alienazione dunque vivono coloro che, come Archiati, credono fichtianamente che la percezione sia un inganno da superare (Pietro Archiati, “La percezione. Un inganno da superare”, Ed. Archiati, 2004).

Già nel titolo del libro di Archiati “La percezione. Un inganno da superare” c’è, se la si vuol vedere, la testa dura dei tedeschi, una tedeschità che Goethe chiama “bizzarra” e che io chiamo cretineria. Dice Goethe allo Eckermann: “I tedeschi sono, del resto, gente assai bizzarra! Con i loro pensieri profondi e le loro “idee” che essi cercano ovunque e cercano di ficcar dentro ovunque, si rendono la vita più difficile di quanto essa dovrebbe essere. Eh! abbiate dunque una buona volta il coraggio di abbandonarvi alle impressioni, di lasciarvi ricreare, di lasciarvi commuovere, di lasciarvi elevare e di lasciarvi istruire, ed infiammare ed animare verso qualche cosa di grande. E non pensate solamente sempre che ogni cosa sarebbe vana e inutile se non è un qualsivoglia astratto pensiero od un’idea” (“Gespräche mit Goethe” del 6 maggio 1827 in “ Goethe, “Faust”, op. cit. Introduzione, nota 1, pag. 26).

Questi “tedeschi del pensiero" di conseguenza sbagliano non solo nell’esperienza delle cose del mondo ma anche nell’esperienza di se stessi. La reale esperienza dell’io non è una pensata di solipsisti trascendentali assoluti, sedicenti sacerdoti della verità che pretendono di insegnare ex cathedra la filosofia di Rudolf Steiner tramite categorie fichtiane o heideggeriane, o tramite dottrine del logos o altre baggianate pretesche, perché un simile modo di percepire il mondo è pazzesco.

Il libro “La filosofia della libertà” di Steiner non abbisogna di predicatori né di alcun supporto, in quanto i suoi contenuti poggiano su essi stessi.

Il libro “La filosofia della libertà” abbisognerebbe semmai di mero studio individuale. Perché il tempo dei predicozzi è finito. Basta con le chiese! Basta con la chiesa! La messa è finita! Per Dio!

Oltretutto, l’idealismo di J. Gottlieb Fichte, come ogni altro idealismo o spiritualismo assoluti, non aiutano la comprensione dei testi di Steiner in quanto non aprono mai ad una vera esperienza dell’io, dato che l’io è per costoro un’idea tra le altre o un concetto fra gli altri.

Lo stesso dicasi per M. Heidegger, altro amore di Archiati assieme a quello per Fichte. Heidegger è famoso più per le sue idee sbagliate che non per l’avere scoperto che noi poveri esseri umani conduciamo le nostre vite per lo più come zombie. Ma questa sua grande scoperta non la sentiamo forse ripetere da sempre anche nei vari Bar Sport? Certamente gli errori di pensiero di Heidegger che condussero al nazismo, li sentiamo di meno…

Insomma chi, in base a filosofie, pensati, ideologie o teologie, procede per pregiudizi sui contenuti delle percezioni per spiegare la percezione di Steiner, conduce solo a idealismi semantici, in cui l’unica esperienza possibile è il “parolismo”, il “blateralismo”, altro che evoluzione!

L’evoluzione dialettica, l’eristica, l’arte di avere sempre ragione non è che evoluzione della furbizia: parlantina, altro che cultura! Parlamentarismo deforme in quanto staccato cioè assoluto (ab-solutus, disciolto) dall’esperienza dei relativi contenuti concettuali.

Ciò che allora si studia non è la filosofia di Steiner ma solo ciò che “si può dire” o che “non si può dire” (per essere nel giusto o per essere nel gruppo): si può dir questo? si può dir quest'altro? Queste sono le domande dei dialettici che gli ascoltatori fanno ad Archiati. Ma che razza di gente è questa? È gente che vuole sapere ciò che si può dire e ciò che non si può dire. Ma a che serve poi? A parlare nel politicamente corretto? Povera antroposofia! Qui siamo nel girone dei politicastri, non dei cercatori scientifico-spirituali.

La libertà diventa allora il “dover essere” liberi (di dire questa o quest’altra pensata o fregnaccia new age del tipo “tutto è maia”, ecc.), e ciò in base a un comunismo giuridico costituito da “legalità oggettive” e/o da “REGOLE di libertà” (“regole di censura della non libertà”, pazzesco!) attuabili mediante un orwelliano Stato poliziesco del pensiero, inventato da Fichte! “Ma Alda! Ma Alda!” diceva Ezio Greggio. Meglio la sua filosofia di quella di Archiagottlieb!