Sul bernoccolo dello spirito
10.08.2013 09:26
J. Gottlieb Fichte, avviandosi a riflettere sul suo “assolutamente primo, in tutto e per tutto incondizionato principio fondamentale” (Fichte, “Fondamento dell’intera dottrina della scienza”, Bompiani, Milano 2003, p. 139), parte dalla proposizione “A è A” scrivendo che ognuno può ammetterla “sicuramente senza rifletterci più di tanto: la si riconosce come totalmente certa e stabilita” (ibid., p. 141).
Con ciò egli crede di attribuirsi “il potere di PORRE QUALCOSA IN ASSOLUTO” (ibid.).
Ma vaneggia soltanto, in quanto pone le basi per una dialettica totalmente priva di contenuti reali.
E lo spiego. Se tu dici “A è A” riflettendo sul fatto che io non vi rifletto più di tanto per ammettere quanto affermi, cosa fai? Rifletti semplicemente sul non riflettere per poter imporre “A è A” come assoluto senza condizioni.
Ma perché vuoi parlarmi per assoluti? Perché assolutizzi la tua proposizione iniziale “A è A”? Che bisogno c’è di dire che A è A o che rosso è rosso, o che tavolo è tavolo? Sei forse un cretino che parla così, senza gli articoli? Perché parli senza grammatica? Forse che in tedesco si parla senza articoli?
No, in tedesco gli articoli esistono eccome!
Solo che nella sua proposizione di partenza J. Gottlieb Fichte non li usa. Usarli avrebbe significato affermare che da qualche parte, lì su quel pezzo di carta, o là sulla lavagna, c’era “una A”, cioè inchiostro su carta o gessetto sulla lavagna. Ma Gottlieb non vuole affermare questo. GOTTLIEB non vuole materiali, NON VUOLE MATERIA. A lui interessa solo che la forma di una cosa sia riconosciuta senza il suo contenuto di sostanza.
Queste non sono solo mie riflessioni ma sue affermazioni: “La proposizione ‘A è A’ non è affatto equivalente a ‘c’è una A’ […]. Non si pone in questione il ‘contenuto’ della proposizione, bensì semplicemente la sua ‘forma’” (ibid. p. 143).
Quindi al Gottlieb interessa affermare solo una connessione formale fra termini privi di contenuto. Gli interessa ciò che perfino gli americani chiamano aria fritta, connessioni di aria fritta.
J. Gottlieb si muove, anzi, proprio in tali connessioni di aria fritta, vale a dire in un ambito privo di concretezza del pensare, dunque nel mero ambito del pensare astratto.
In tal modo - cioè non distinguendo fra pensare astratto e pensare concreto - si può davvero dire e dimostrare tutto ed il contrario di tutto ma solo a parole, cioè solo nominalisticamente.
Questo modo di procedere negando la sostanza delle cose, è tipico di coloro che credono che il pensare sia totalmente astratto, e che in base a questo pregiudizio o credulità parlano poi di spirito o di idealismo.
Questo tipo di spiritualismo o di idealismo è in fondo solo negazione della sostanza del mondo reale, quello in cui se batti la testa contro il muro ti viene un bernoccolo.
Ebbene chi, come un pappagallo, segue pedissequamente J. Gottlieb Fichte nelle sue astrazioni e si impadronisce del suo formalismo dialettico può tutto! Di formalismo in formalismo riesce a dimostrare che l’acqua è asciutta o che la formazione di un bernoccolo non è la formazione di qualcosa di concreto, ma è sempre formazione di qualcosa di immateriale…
Quanto segue è l’incredibile lectio “sul bernoccolo” di Archiagottlieb, pappagallo di J. Gottlieb Fichte.
Si tratta di una risposta data ad un’ascoltatrice che obietta “Quando io sbatto contro il muro tu non mi puoi dire ‘La materia non è una realtà’; e senza muro la protuberanza non sorge!”.
Ecco come Archiagottlieb procede per negare la realtà del bernoccolo.
«“Quando io sbatto contro il muro tu non mi puoi dire ‘La materia non è una realtà’”? Non c’è mai stato nessuno che ha sbattuto contro il muro. Non esiste proprio. È un modo del tutto rudimentale, infantile, di esprimere il fenomeno. Ci sono stati esseri umani che hanno vissuto il dolore di una protuberanza fisica. Ma il dolore è una realtà, non il muro! “Ma senza muro la protuberanza non sorge”? E allora cos’è il muro? La scienza dello spirito è un po’ più difficilina della scienza naturale perché complessifica le cose. Allora Steiner direbbe: ‘Un muro, la cosiddetta materia, sono spiriti della forma che sovrasensibilmente agiscono in certe direzioni. Fanno una struttura, diciamo, no? Ma una struttura di forze. La materia non c’entra nulla. Poi ci sono spiriti del movimento che portano, diciamo, questa… supponiamo che sia una struttura stabile. Tutto il fisico ha delle strutture e delle forme stabili, altrimenti sarebbero in metamorfosi. Ora lo spirito del movimento porta un essere umano in movimento e impinge in queste forze. Forze stabili della forma che impingono, che si scontrano, con forze in movimento, fanno sorgere il bernoccolo, il dolore, perché sono in contrasto fra loro. Vogliamo una forma stabile o vogliamo scioglierla? E questo dolore porta a coscienza il fatto che l’evoluzione è possibile soltanto in quanto interazione di forze opposte. Cos’è il bernoccolo? Una forma che fino a poco fa era fissa e che adesso è entrata in movimento! È così. Però la realtà, dietro, è sempre lo spirito. Non è la cosiddetta materia. Questo è il concetto fondamentale della scienza dello spirito. E senza questa interazione fra forza e controforza non ci sarebbe evoluzione. Non ci sarebbe neanche coscienza. Perché come faccio io a portare a coscienza che qui c’è un contrasto fra forma e movimento? Attraverso il dolore. Perché se io non sentissi nulla, non avvertirei nulla. Sento col dolore il contrasto tra forma, che in quanto forma deve stare un pochino ferma se no…, e il movimento, che scioglie la forma» (Pietro Archiati, 3° seminario sulla filosofia di Steiner, tenuto a Rocca di Papa (RM) dal 14 al 17 febbraio 2008).
Evidentemente per chi non è pronto a liberarsi di… bernoccoli o pregiudizi entrati talmente nelle proprie forme pensiero da indurlo a parlare per bocca di un altro, proprio come fanno i medium, è meglio che non si azzardi a spiegare il pensiero di qualcuno spacciandolo per quello di qualcun altro.
Quest’altro non è Rudolf Steiner, il quale mai disse e mai si sarebbe sognato di dire o di scrivere simili astrazioni concettuali finalizzate a negare la materia, dato che la sua opera filosofica propone un monismo, che nulla ha a che fare col monismo di coloro che negano la materia in nome dello spirito (o il contenuto percettivo in nome del concetto): “Un concetto astratto non ha di per sé realtà alcuna, così come non ce l’ha una percezione di per sé […] Solo il collegamento di ambedue, la percezione che si incorpora nell’universo conformemente a regole, è realtà piena. Se consideriamo la mera percezione di per sé non abbiamo alcuna realtà, bensì un caos sconnesso; se consideriamo di per sé la conformità della percezione a regole, allora abbiamo a che fare soltanto con concetti astratti. Non il concetto astratto contiene la realtà, bensì invece l’osservazione pensante la quale non considera unilateralmente di per sé né il concetto, né la percezione, ma la connessione di ambedue” (R. Steiner, “Gli ultimi problemi. Le conseguenze del monismo”, §1, in “La filosofia della libertà”).
Chi è allora quest’altro? È J. Gottlieb Fichte.
Parlando per bocca di Steiner - che invece, ripeto, è GOTTLIEB FICHTE il quale, come ho mostrato prima, NON VUOLE MATERIA - Archiagottlieb gli fa dire che la materia sarebbe spirito; spirito che, in quanto immateriale, non c’entra nulla con essa; gli fa dire che il bernoccolo sarebbe il risultato dello scontro dello spirito con se stesso, e precisamente dello scontro fra se stesso in quanto forma immateriale e se stesso in quanto movimento immateriale; e gli fa dire che il dolore sarebbe il generatore di coscienza dell’interazione di forze opposte in quanto in evoluzione! Secondo questa esaltata visione di forze opposte che si scontrano in questa strana evoluzione in cui l’uomo avrebbe solo la parte del dolore, la scienza dello spirito sarebbe più difficile di quella naturale in quanto, anziché comprendere le cose, le renderebbe più complesse di quello che sono.
Dunque la scienza dello spirito sarebbe per Archiagottlieb come una specie di UCCS, “Ufficio Complicazioni Cose Semplici”!
Da tale ufficio proviene la confusione di chi, avendo frainteso “La filosofia della libertà” di Steiner come “Dottrina della scienza” di Fichte, proietta tale confusione su Steiner: “Steiner usa di solito il termine «monismo» (Monismus) a indicare il proprio pensare, ma questo termine può dar adito a confusione. Infatti, nel secondo capitolo del suo libro egli stesso chiama monismo quella teoria errata, che vuol ridurre il reale o alla sola materia (negando lo spirito) o al solo spirito (negando la materia). Sarebbe stato meglio, secondo me, se Steiner avesse distinto chiaramente la terminologia: o riservando il termine «monismo» per l’uso fattone nel secondo capitolo (e trovando allora un altro termine per la propria visione); oppure riservando il termine di monismo a sé, senza usarlo per teorie diverse dalla sua, o addirittura opposte. Si tratta qui però di una pura questione di terminologia, che non tocca
il contenuto dell’opera”. (Pietro Archiati, “Libertà senza frontiere” p. 200).